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L’Europa mangia vongole di dimensioni “italiane”. Alla faccia degli anti-europeisti ed anti-europeismi

Quanto riportato dal quotidiano on-line La Stampa è solo un esempio.

Spesso la malevola capacità di giudicare un tema da un titolo; la ingannevole capacità di taluni uffici stampa di bearsi delle incompetenze altrui (quando basterebbe vederne il lato positivo) e – purtroppo – la tragica incapacità o impossibilità di molti di poter trovare i numeri che stanno dietro le notizie e/o la storia di talune scelte.
Nell’era dell’accesso Open Data, ci troviamo in verità nell’incapacità di fare una giusta analisi. Per mancanza di tempo, ovvero, per l’incapacità di voler leggere in controluce le cose.
Ora, vi invito a leggervi il pezzo del corrispondente Marco Zatterin e di metabolizzarlo. 20160626 VongoleUELaStampaRiflettete a quante volte abbiamo sentito gli “esperti” raccontarci che la UE si interessa delle dimensioni delle ciliege e della curvatura delle banane. Di riflettere sul caso delle quote latte ma soprattutto sull’enorme lavoro di mediazione che un grande agglomerato di 28 paesi devono fare per elaborare norme comuni.
Errori? Tanti? Malafede e strategie per danneggiare l’Italia? Non credo visto il deposito Italiano in oro presso la BCE. Cattive corrispondenze stampa e politici che operano con doppio fine? Forse. Certamente ci possono essere anche questi.
Ma questo è il primo mercato nel mondo occidentale. Può piacere o meno. L’UE è l’unica speranza per fronteggiare a testa alta la globalizzazione.
Se poi siete così convinti che io stia sostenendo la cosiddetta (da taluni) l’Europa delle Banche…allora continuate a credere alla dimensione delle vongole ed ai comunicati stampa di importanti associazioni di categoria oppure potete anche voi sostenere una petizione perché vi siete pentiti del vostro voto al referendum. Contesto giuridico che in Italia – come noto – non è possibile.
Un plauso sincero a Marco Zatterin (@stranaeuropa) per l’impegno a raccontare l’EU e al nuovo direttore de La Stampa.

La classe dirigente d’Italia

Raffaele Mattioli fu Presidente della Banca Commerciale Italiana. E’ ritenuto il miglior banchiere italiano di tutti i tempi. Questi nel 1972 scrisse:

“Nel momento stesso in cui si vorrebbe poter già sapere chi si assumerà domani compiti di direzione e di guida […] appare indispensabile e in qualche misura preliminare, cercare di capire su che cosa il Paese si sia retto sinora, quale sia stato sin qui il suo tessuto connettivo, attorno a quali forze esso si sia ritrovato e in che misura. […] Tutto il periodo [dall’Unità al secondo dopoguerra] può in realtà configurarsi come una serie di occasioni e di tentativi diretti a dar finalmente vita ad una classe dirigente adeguata”

Brano tratto da: Storia del capitalismo italiano, Donzelli, 1997, a cura di Fabrizio Barca.

Renzi: come la vede Cisnetto

Riporto nel seguito l’interessante visione della Sfida che “si è assunto” Matteo Renzi nella attuale crisi di Governo e scontata sua nomina a Presidente del Consiglio, da parte di Enrico Cisnetto. Dal giornale on-line Terza Repubblica

RENZI “DEVE” FARCELA,  UN SUO FALLIMENTO  APRIREBBE UNA FASE BUIA  DELLA NOSTRA  DEMOCRAZIA
Voltiamo pagina. È inutile, in questa fase, stilare classifiche sui comportamenti di ciascuno, recriminare su ciò che non è stato e avrebbe dovuto essere, discettare sui motivi più o meno reconditi di certe mosse, scommettere sugli esiti dei nuovi scenari. Adesso c’è Renzi a palazzo Chigi. Punto. Poco importa se è veramente ciò che voleva o se, piuttosto, mirava alla crisi e ad andare a votare subito (con la legge elettorale riveniente dalla decisione della Corte Costituzionale sul “porcellum”), se è logico che chi come lui invoca la pienezza del maggioritario, anche a costo di proporre una legge che di democratico ha assai poco, arrivi al governo senza una tornata elettorale alle spalle, e se ha ben calcolato i rischi che assume rispetto alle dinamiche di un partito, il suo, che fino a poche settimane fa lo vedeva in minoranza e che ora sembra essere tutto renziano. Così come poco importa, anzi importa ancora meno, capire il perché Enrico Letta non sia riuscito in questi mesi a battere un chiodo che uno, o perché si sia illuso, nelle ultime ore, che la resistenza avrebbe pagato e che quella conferenza stampa per presentare un improbabile libro dei sogni sotto forma di programma di governo (peraltro personale, visto che non era stato concordato con nessuno) gli avrebbe consentito di uscire a testa alta dalla vicenda.
Lasciamoci tutto alle spalle. E ragioniamo su cosa significa per l’Italia il “governo Renzi” che fra poche ore nascerà. Noi, fatta la somma algebrica dei pro e dei contro, riteniamo che sia una chance. Che porta con sè, però, un grande problema: è l’ultima carta. Sì, sarà pure un jolly quello che ci stiamo giocando, ma è l’ultima carta che abbiamo in mano. Poi, per carità, la storia non finisce – con buona pace di Francis Fukuyama – ma certo è difficile immaginare cosa potrebbe succedere se, dopo lo scarso risultato di Monti e il fallimento (al di là dell’immaginabile) di Letta, pure Renzi dovesse inciampare. Anche perché gli italiani hanno caricato aspettative gigantesche sull’ormai ex sindaco di Firenze: a fronte di uno stato d’animo collettivo a dir poco sfiduciato, lui – giovane, dinamico, cinetico, aggressivo, dal linguaggio poco politico pur senza scadere nel populismo d’avanspettacolo grillino – ha suscitato e sta suscitando enormi attese. Anche chi non ha mai votato a sinistra, né lo farà perché c’è lui. Il desiderio che il tentativo riesca è generalizzato. E sincero. Ma, appunto, con un retrogusto che crea allarme in chi, come noi, non può ancorare l’analisi politica alla sola e generica “speranza”. È la percezione di un clima da “ultima spiaggia”, accentuato dalla tendenza di Renzi ad atteggiarsi come quello che “o la va o la spacca”. Insomma, il mood nel Paese è: speriamo che ce la faccia, perché in caso contrario non sapremo proprio a che santo votarci.
E allora, facciamo i conti fino in fondo con questa equazione, vedendo se e come ce la può fare, e ragionando fin d’ora su come affrontare – il ciel non voglia – un eventuale “dopo Renzi”. Partiamo dalle premesse positive. Renzi ha dalla sua il Paese – è vero, è capitato anche a Berlusconi un paio di volte, ma non con questa trasversalità e con l’anti-berlusconismo sempre in funzione – e la prospettiva di legislatura piena che si è voluto dare, tra l’altro cambiando le carte che lui stesso in precedenza aveva messo in tavola, che toglie al tentativo l’asfitticità che l’orizzonte temporale corto dava a Letta. Sono due vantaggi enormi, cui si aggiunge la condizione di un parlamento che, pentastellari a parte, starà comunque con lui, non fosse altro perché ha allungato a deputati e senatori la speranza di vita. Ma è un capitale facilmente deperibile. Per tenerlo vivo, Renzi come capo del governo dovrà fare l’esatto contrario di Letta: mettere di fronte al fatto compiuto, mostrare decisionismo – vero, non a chiacchiere – per evitare la logica della mediazione preventiva sui provvedimenti. I quali dovranno sì rispondere alla logica del “colpo di reni” e non più dei piccoli passi come si era (inspiegabilmente) intestardito a fare Letta, ma senza per questo lasciarsi prendere la mano dal desiderio di stupire a tutti i costi. Insomma, leadership vera, non un suo surrogato mediatico (lì per lì funziona, ma dura poco). Per riuscirci, Renzi dovrà avere due squadre: quella di governo, necessariamente figlia degli equilibri politici e nella quale sconsigliamo inserimenti mediaticamente paganti ma che potrebbero facilmente rivelarsi dei boomerang; e quella sua, fatta di consiglieri politici capaci di elaborare dossier e gestire relazioni.
Si può fare? È difficile, ma si può fare. Anche perché a Renzi una seconda chance non verrebbe data. E perché, in caso di suo fallimento, il Paese piomberebbe in una cupa disperazione da impotenza che rischierebbe di aprire la porta a fenomeni di ribellione al cui confronto i “vaffa” di Grillo e le manifestazioni dei “forconi” risulterebbero delle alzate di sopracciglia. La politica non è e non può essere solo Renzi. Ma ci vuole il tempo per costruire una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi la responsabilità di guidare l’Italia fuori dal declino. E a Renzi andrà fatto un monumento se solo sarà capace di dare al Paese questo tempo.

Oggi in Italia, l’esultanza

20130801 BerlusconiEsultanzaL’esultanza de L’Esercito di Silvio mentre apprendono la lettura della sentenza delle Corte di Cassazione. Non avevano capito.